Non è altro che l`inizio! È da Venerdì scorso che decine di studenti e lavoratori della UC di Santa Cruz stanno occupando alcuni locali del proprio campus per protestare contro i tagli ai finanziamenti pubblici e salari, insieme ai vertiginosi aumenti delle tasse universitarie. ‘Non abbiamo altra scelta che occupare, perché la situazione è diventata insostenibile’. Queste sono le prime parole con cui studenti e ricercatori annunciano l`occupazione dell’università di Santa Cruz in California (
http://occupyca.wordpress.com/).
Qualche mese fa, parlando del sistema universitario americano, un giornalista del famoso Chronical HE si chiedeva quando la bolla della educazione sarebbe scoppiata. Una domanda retorica se si pensa che nella sola California i pesanti tagli hanno ridotto di quasi 40.000 studenti il numero degli iscritti per l`anno accademico 2010/2011 con un aumento delle tasse fino a 10.300 dollari in più, vale a dire un aumento annuo del 32% (sic!). A questo dobbiamo aggiungere che il debito studentesco è aumentato dell`800% dal 1977 al 2003 solo negli Stati Uniti e quasi i due terzi degli studenti sono di fatto lavoratori a tempo pieno.
Alle cinque del pomeriggio di giovedì scorso, decine di studenti e lavoratori dell`università si sono incontrati al secondo piano della UC Santa Cruz. Bloccate le porte con banchi e mobili vari, la scritta ‘Occupiamo tutto!’ è comparsa sulle pareti del campus.
La solidarietà a questa occupazione e alle loro rivendicazioni è arrivata in un solo giorno fin dalle università di Washington e dagli studenti della NYU, ovvero dall`altra parte degli States.
Gli occupanti domandano al rettore ed ai suoi organi accademici di bloccare i tagli al personale e ai salari, così come l`aumento delle tasse studentesche per coprire un buco di bilancio di 813 milioni di dollari dovuto alla mancanza di fondi pubblici.
Un aumento delle tasse e allo stesso tempo un drastico taglio alle risorse condanna inevitabilmente gli studenti a pagare sempre di più per un servizio sempre più dequalificato. Ricetta, questa, in via di sperimentazione anche negli atenei europei ed italiani in particolare.
Docenti costretti a prendersi un anno di aspettativa, interi dipartimenti dimezzati, aumenti delle tasse universitarie: non è soltanto la crisi del pubblico quella che abbiamo di fronte con la quasi bancarotta della UC, ma di un particolare modello di università, ovvero di quel virtuoso legame che ha reso possibile, per intenderci, esperienze produttive come la Silicon Valley, altrimenti impensabili senza la spina dorsale delle università californiane.
Richiamandosi direttamente alle occupazioni di fabbrica della Chicago Republic Windows and Doors da parte degli operai, dopo che la Bank of America aveva cancellato il finanziamento alla compagnia nel 2008, questa nuova occupazione ad oltranza ci insegna di come sempre più anche lo stesso mondo dei servizi sia legato a doppio filo alla stessa speculazione finanziaria.
Tutt’altro che passata, la crisi sta facendo sentire fino in fondo la sua morsa: dopo aver messo in ginocchio uno stato come la California e la città di Chicago, sta pesantemente investendo le stesse istituzioni universitarie statunitensi sia pubbliche che private.
Dopo le note rassicuranti dei governi seduti al G20 di Pittsburgh e della banca centrale (Fed in testa) che candidamente hanno affermato come il peggio sia ormai passato, gli fa eco oggi il rumoroso slogan degli occupanti della baia di S. Francisco: ‘We are the crisis!’. Noi siamo la crisi!
Paolo Do